L’affidabilità, nel mondo del crimine, equivale ad una patente di autorevolezza. Se fai esattamente quello che hai detto di fare, la tua credibilità e il tuo prestigio si tradurranno in una leadership riconosciuta, finalizzata al controllo del territorio.
Quella albanese è considerata la nona mafia a livello internazionale dall’Interpol. E’ cresciuta fino a rappresentare una voce fondamentale del Paese, in grado di alimentare e finanziare le lobby di potere. Il sistema si autoalimenta: il livello politico offre protezione ai clan, questi ricambiano con soldi, voti e potere. Si crea così una specie di patto sociale che garantisce sia le attività illegali che quelle della nomenklatura. Sullo sfondo, il paese più corrotto dell’area balcanica, come riporta Transparecy International.
Il rischio, molto concreto, è che nonostante gli sforzi, l’Albania diventi una specie di Tortuga dell’Adriatico, titolo affibbiato negli anni d’oro del contrabbando di sigarette al Montenegro, perché è già un hub centrale per i mille traffici della Piovra del malaffare: armi, esseri umani, ma soprattutto droga. A favorire in qualche modo questa evoluzione negativa c’è anche la scarsa attenzione istituzionale internazionale a quanto avviene sull’altra sponda del canale d’Otranto. La mutazione genetica della criminalità albanese, in grado di trattare ormai direttamente con colombiani, turchi e italiani, fa sì che più di un esperto inizi a pensare ad un Narco-Stato sul modello sudamericano. Un Nuovo Messico vista la ramificazione in profondità dei tentacoli nel tessuto economico, sociale e politico del Paese delle Aquile.
Forse i casi più emblematici sono quelli del procuratore generale albanese, Theodori Sollaku, dal quale dipende tutta la pubblica accusa, rimosso per aver impedito, tra l’altro, l’estradizione di 200 tra boss e gregari – tutti a piede libero in Albania – richiesta da vari Paesi e dell’ex procuratore capo della Repubblica albanese, Adriatik Llalla, ormai svanito nel nulla, al quale pure gli Stati Uniti hanno rifiutato l’ingresso, dopo il sequestro preventivo del suo patrimonio immobiliare frutto, secondo la Corte per i reati gravi di Tirana, di attività illecite.
I Signori del Canale – Ogni notte cinque-sei scafi partono dal litorale albanese tra Valona e Durazzo, per trasportare in Italia droga. Specialmente marijuana, da smistare in tutta Europa. Gli approdi si sono spostati sempre più su, dalla Puglia, al Molise, fino ad arrivare a Ravenna. Lungo questo itinerario i clan italiani, con i referenti della mafia schipetara, assicurano assistenza, ricovero e trasporto. Un complesso e articolato apparato logistico, primo tassello di quel passaporto di affidabilità necessario per diventare un interlocutore di primo piano nel mondo degli affari illegali. La media è di una tonnellata a viaggio, da moltiplicare per cinque o per sei. Ogni notte. Un fiume di marijuana prodotto nelle zone dell’entroterra, nonostante l’impegno del governo del primo ministro Edi Rama nella lotta alle piantagioni di cannabis. I soldi del narcotraffico consentono agli albanesi di investire in eroina e cocaina, moltiplicando i guadagni in maniera esponenziale. I narcos colombiani hanno rilasciato una specie di bollino blu, a sottolineare la fiducia verso i clan albanesi, partner di provata efficienza e il porto di Durazzo, col suo trend commerciale in crescita, è diventato un punto di riferimento strategico per l’arrivo dei carichi di “oro bianco” dal Sudamerica, come hanno dimostrato recenti operazioni di intelligence. Un cliché riproposto in base all’esperienza dei porti di Rotterdam, Amburgo e Anversa dove sbarcano migliaia di container al giorno, impossibili da controllare in mancanza di una segnalazione precisa. I canali autoctoni, legati all’emigrazione albanese, sono in grado di movimentare la “merce” in arrivo dall’altra parte dell’Oceano.
Neanche il Coronavirus ha rallentato l’attività dei taxi dell’Adriatico. Lo sottolinea l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per la droga (Oedt) e dell’Europol. In sintesi, i prezzi sono saliti di un 20 per cento, è aumentata la violenza tra fornitori e distributori, i modelli di trasporto si sono adattati ai tempi e ai limiti della pandemia e il traffico tra le due sponde non ha mai subito interruzioni.
In mare servono tempo e pazienza. Qualità che non mancano nel dna degli scafisti albanesi. Sono loro ad aver trasformato, un’altra volta, lo specchio d’acqua che rappresenta la porta d’ingresso all’Europa, nell’autostrada dell’illegalità, dai confini nebulosi, sfocati, tipici dei Paesi rivieraschi.
Sotto i riflettori degli investigatori europei ci sono 5mila gruppi criminali, di 180 diverse nazionalità (nel 2013 erano 3.600), un terzo dei quali si dedica al traffico di droga che vale 30 miliardi di euro l’anno. E la mafia albanese è considerata in rapida ascesa. Le cosche proliferano e crescono anche approfittando di alcuni aspetti poco chiari. In molte culture giuridiche europee, ad esempio, non esiste l’obbligatorietà dell’azione penale. Altri non prevedono il sequestro dei beni, il reato di associazione mafiosa, l’impossibilità di effettuare intercettazioni telefoniche.
La tecnologia e i minisub – E’ un prezioso alleato della Piovra albanese, pronta a cogliere aiuti esterni, frutto di collaborazioni tra le varie organizzazioni criminali. In passato i narcos dell’Adriatico hanno utilizzato acquascooter, per il trasporto della droga, aerei da turismo pronti a decollare da piste improvvisate una volta stipati fino all’inverosimile di sacchi di marijuana, deltaplani a motore. La svolta – potrebbe essere definita epocale – è arrivata a giugno dell’anno scorso. Un guardacoste italiano intercetta nel canale d’Otranto un barchino in vetroresina mosso da un sistema di navigazione automatica controllato a distanza via radio. A bordo, 37 chilogrammi di droga. Niente pilota, niente timone, solo le eliche del motore fuoribordo. Le indagini stabiliscono che l’imbarcazione è partita da Durazzo ed ha fatto scalo in diversi punti del litorale salentino prima di essere individuata. Una specie di servizio di consegna in tempi rapidi, con rischi calcolati. Ma anche la prova del salto tecnologico dei narcos di casa nostra. Un particolare che si aggiunge ad una voce ricorrente. Quella dell’utilizzo di minisommergibili, veri e propri siluri automatici, pronti ad attraversare a pelo d’acqua lo specchio di mare. Fantascienza?
Mancano ancora i riscontri investigativi. Gli indizi in questa direzione, però, sono tanti. Le imbarcazioni veloci sono ormai facilmente individuabili dai radar e, una volta localizzate, finiscono quasi sempre per essere bloccate. Succedeva così anche negli anni Novanta in Sudamerica. Fino a quando i narcos non iniziarono a progettare scafi immersi fino alla cabina di guida, semi-sommergibili. Tuti ne parlavano, nessuno li aveva mai intercettati. Furono ribattezzati Bigfoot, come la misteriosa e leggendaria creatura la cui esistenza non è stata finora dimostrata. Nel 2006 la Guardia costiera americana finalmente ne sequestrò uno con diverse tonnellate di cocaina. Oggi, lo scenario è cambiato. I narcos utilizzano veri e propri sommergibili.
Uno dei quali è stato addirittura catturato di fronte alla coste della Galizia, in Spagna, dopo aver attraversato l’Atlantico.
Torniamo al canale d’Otranto. Il barchino radiocomandato è una realtà. Provati anche i contatti diretti tra i colombiani (loro sono i custodi della tecnologia dei minisub) e i clan albanesi che hanno permesso l’evoluzione verso una struttura globalizzata. Una sorta di join-venture al cui interno condividere basi, modalità, riciclaggio e conoscenze tecnologiche. Documentati i rapporti con le ‘ndrine calabresi, in grado di mettere da parte gli intermediari pugliesi e di trattare direttamente con i fornitori di Tirana e dintorni. In qualche occasione sono spuntati dal nulla sacchi di droga sulle coste pugliesi e lucane: nessuno ha saputo spiegare da dove arrivassero.
Le voci raccolte dall’Albania parlano di battelli in fibra di vetro, a basso profilo insomma, lunghi tre metri e larghi due, dotati di sistemi meccanici, elettrici ed elettronici, con un’autonomia di dieci ore, pronti a trasportare fino a due tonnellate di droga a viaggio.
Invisibili ai radar, non rilasciano tracce rilevabili con i sistemi all’infrarosso. Il loro punto debole? L’avvistamento visivo dall’alto. Se viaggiano di notte, questa criticità è risolta. In attesa che si scopra il Bigfoot albanese, una riflessione va fatta sugli strumenti di contrasto alla criminalità del Terzo millennio. Quelli messi in campo, a volte sembrano spuntati e superati, finiscono per scalfire la parte superficiale dell’apparato, trovano difficoltà nell’intervenire in profondità. Gli arresti e i sequestri hanno lo stesso effetto di una testa tagliata a Idra, il mostro mitologico in grado di rigenerarsi ad ogni colpo. Il cuore pulsante resta quello economico-finanziario. Il crimine moderno ragiona così: fino a quando il traffico di droga garantirà enormi flussi di danaro, introdotti di nuovo nei circuiti leciti e illeciti, l’autostrada dell’Adriatico sarà trafficatissima.